LA CROCE E LA SPADA

DON FELICIANO MARINI - ESERCITO ITALIANO

PADRE BRUNO SPITZL - 59° RAINER SALISBURGO

PADRE GIULIO BEVILACQUA - BATTAGLIONE ALPINI STELVIO

Messa sulle pendici dell'Ortigara - 1917

Il primo conflitto mondiale catapultò drammaticamente l’uomo nell’era delle “guerre moderne”. L’uso di nuove armi e materiali, impiegati su vasta scala e con un raggio d’azione impensabile fino a pochi anni prima, impattò spesso in modo devastante sui tanti soldati di leva, molti ancora psicologicamente e tecnicamente impreparati. Davanti a tali disastrosi effetti, ai quali unire il drammatico problema dei numerosi feriti inizialmente non ancora assistiti da adeguate strutture da campo, fra i primi e più spontanei rimedi vi fu quello di sostenere la sanità militare di prima linea anche con i Cappellani Militari. Fu sicuramente una scelta non facile, specialmente considerando il difficile stato dei rapporti fra il governo italiano postunitario e la Chiesa Cattolica. Eppure fra i tanti parroci di campagna o i giovani sacerdoti degli oratori che indossarono il grigioverde e partirono per il fronte, non di rado emergeranno autentiche figure di soldato. Un tema che abbiamo sviluppato nel nostro libro “La Croce in trincea” (Ed. Itinera Progetti). Durante la Grande Guerra furono infatti quasi ventiduemila dei quali duemilacinquecento verranno nominati Cappellani con particolari facoltà, come ad esempio l’assoluzione plenaria. Tra quei valorosi troviamo Don Feliciano Marini, un religioso trentenne che dopo due settimane dall’inizio della guerra lascia la sua Foligno raggiungendo le più alte cime del Cadore come soldato della IX Compagnia di Sanità. Qui sotto le Tofane vive la prima drammatica esperienza di guerra tra centinaia di feriti della Brigata “Reggio” ai quali presta soccorso vestito come un soldato qualsiasi.

Scriverà nel suo diario, i “Ricordi di un Cappellano Militare”: “Ciò che mi è passato dinanzi ieri e questa notte, non potrò giammai dimenticarlo. Ma la scena di dolore mi è stata lenita da una soddisfazione che il Signore ha voluto inviarmi in mezzo a tanto sgomento. Un povero ferito si trovava tra gli altri, orribilmente massacrato da una pallottola esplosiva, che gli aveva asportato tutto il mento. Respirava a stento anche dopo la tracheotomia. Mi avvicino a lui e gli chiedo che mi rivelasse, coi segni, se era credente in Dio e se bramasse l'assistenza di un Sacerdote. Parve illuminato da un lampo di gioia e con le mani il poveretto si tolse il rosario che aveva in tasca. Capii tutto, mi feci conoscere e gli detti l'assoluzione, ringraziando Iddio di avermi reso utile in quel frangente. Anche ad altri feriti gravi ho dato il conforto della Fede, assolvendo meglio che potevo il doppio ufficio di infermiere e di sacerdote”. Nel magnifico ambiente dolomitico violato dalla guerra Don Marini celebrerà la Messa sul piccolo altare da campo sotto i bombardamenti e assisterà ai tentativi degli Alpini di conquistare le Tofane e il Castelletto fino alla breve licenza natalizia che gli consentirà di tornare per alcuni giorni a casa, dimagrito e provato.

Solo al rientro trova la nomina a Tenente Cappellano Militare del 70° Fanteria e viene trasferito in Val d’Astico dove il 15 maggio del 1916 si scatena la “Strafexpedition” austroungarica. Ricorderà di quei giorni: “Non so spiegarmi come ancora io sia vivo. La zona occupata da noi è stata battuta letteralmente dal nemico con le artiglierie di grosso calibro. Non ci resta che raccomandarci all'aiuto di Dio. Intorno a me si svolgono scene raccapriccianti da straziare l'animo anche al più allenato agli orrori della guerra. La nostra baracca è più volte colpita da schegge di granata. Un povero soldato viene ucciso là dentro da una grossa scheggia, che dopo aver fatto la sua vittima si sprofonda nel suolo. Aiuto a sollevare il morente, al quale imparto i conforti della Fede. Il povero giovane mi stringe convulsamente le mani nello spasimo della morte e spira col nome di Dio sul labbro. Mi ritraggo dalla scena pietosa, mi accorgo di essere tutto intriso di sangue ed un'oppressione di sensi mi invade tutta la persona”. E dalla fine di agosto una nuova missione lo attende: viene infatti trasferito al 114° Ospedaletto da Campo, un incarico apparentemente meno pericoloso ma che lo porterà a vivere in prima persona la  grande tragedia di Caporetto. Qui per quasi tutto il 1917 la vita è a suo modo tranquilla e Don Marini assiste gli ammalati e gli alienati ricoverati nell’ospedale, così come i detenuti del carcere militare di Pulfero, vicino a Cigolis. Insieme ad altri soldati e diversi ufficiali dedica anche molto tempo all’educazione dei bambini poiché la vita della popolazione locale è stata stravolta dalla guerra; per questo nel suo album fotografico personale vi sono molte toccanti immagini nelle quali è più che intuibile il grande sforzo di lenire le afflizioni dei contadini del luogo. Ma il destino aspetta anche lui quel terribile 23 ottobre del 1917 quando ricorderà: “In seguito al bombardamento incessante a base di granate e di gas asfissiante, per tre giorni e tre notti e col favore di una nebbia fittissima, il nemico è riuscito a sconvolgere le nostre linee e a determinare la nostra ritirata. Noi ci troviamo con l'Ospedaletto a Cigolis, a pochi chilometri da Caporetto. L'avanzata degli austriaci ci viene comunicata da un soldato che fuori di sè è stato condotto poco fa da due Finanzieri all'Ospedaletto perchè ritenuto alienato di mente. Però la cruda e terribile verità ci viene confermata presto dai primi gruppi di soldati asfissiati dai gas mefitici che vengono a noi trasportati dalle auto - ambulanze. I poveretti, tra i quali alcuni telefonisti, sono stati sorpresi dalle bombe asfissianti di notte, e non hanno nemmeno potuto usare la maschera di protezione. A vederli non sembrano affatto gravi, ma poco dopo si manifesta l'intossicazione e ne muoiono alcuni ai quali riesco appena in tempo a prestare i conforti religiosi. Gli altri, alla vista dei deceduti, vengono tosto presi dal panico di essere vicini a morire e ci vogliono tutti i mezzi che la pietà ci ispira per ricondurli alla calma”. Don Marini segue la disordinata fuga lungo le vallate del Natisone e dello Judrio, assiste alla fuga da Udine ed ai bombardamenti aerei che colpiscono alla cieca militari e civili. Dopo cinque drammatici giorni riesce ad attraversare il Tagliamento al ponte di Pinzano poco prima che salti in aria e ne passeranno altrettanti prima che possa raggiungere il sicuro Piave. Ma dopo poco più di un mese è ancora una volta tra i Fanti insieme ai quali da Bassano del Grappa raggiunge nel gennaio 1918 l’Altopiano di Asiago. Qui tra Pria dell’Acqua e il Kaberlaba ritrova ancora una volta il fango, i bombardamenti, i feriti e le scene di guerra divenute ormai per lui tragicamente abituali. Da qui assiste verso il Col del Rosso alla battaglia dei Tre Monti, la prima vittoria offensiva dell’esercito italiano dopo la disfatta di Caporetto. Il suo diario termina un mese dopo; trascorsi anni in prima linea viene infatti finalmente trasferito all’Ospedale Militare di Foligno. Nonostante tutto, molti anni dopo e sebbene non più giovane, sentirà ancora una volta il richiamo come “soldato della Chiesa e della Patria” tornando fra i suoi Fanti prima in Etiopia (1936), sulla Amba Aradam e nel Tembien, poi in Africa Settentrionale (1940). Combattente nella Grande Guerra e Ufficiale Cappellano pluridecorato, Scrittore, Insegnante, Canonico e Alto Prelato morirà a Foligno nel 1951, raggiungendo stavolta per sempre nella grande armata dell’aldilà le migliaia di soldati che assistette in battaglia con tanta dedizione.

Padre Bruno Spitzl - 59° Reggimento Arciduca Rainer - Salisburgo

Padre Bruno Spitzl - 59° Reggimento Arciduca Rainer - Salisburgo

Ma la durissima prova della Grande Guerra avevano coinvolto anche i Cappellani Militari dell'esercito Austroungarico tra i quali troviamo Padre Bruno Spitzl, Assistente Spirituale dei Rainer del 59° Reggimento di Salisburgo, uno dei reparti più blasonati della Monarchia. Nato a Tepl in Boemia (Diocesi di Praga) il 12 aprile 1887 dalla madre Theresa Hubl e dal padre Anton, commerciante, aveva intrapreso la carriera ecclesiastica seguendo le orme dello zio materno, Padre Bruno Bayerl, Abate del Monastero di Tepl.  Dall’ottobre 1914 al luglio 1918 è Cappellano dell’I.R. 59° Reggimento di Fanteria Rainer di Salisburgo che segue sul fronte italiano e nei tragici inverni sul Monte Cimone. Padre Bruno Spitzl è pluridecorato della Croce al Merito Spirituale di 2^ Classe (nastro bianco e rosso), della “Signum Laudis” con spade in bronzo e con spade in argento (decorazione istituita da Francesco Giuseppe I per meriti di guerra eccezionali), della Croce d’Oro al Merito con spade e dell’Ordine della Croce di Cavaliere di Franz Josef. Padre Bruno sopravvisse alla Grande Guerra ma non dimenticò mai i suoi Rainer caduti in battaglia, in particolare quelli perduti nei drammatici inverni sul Cimone. Molti anni dopo ebbe così a scrivere il 12 aprile 1937 in Vienna:

“E così io, come un commilitone, vi saluto Rainer sopravvissuti, dovunque voi siate; a voi Rainer caduti, che ho tutti davanti e a te, Imperatore, nostra guida e nostro sovrano, dedico con profondo rispetto questo libro, ripensando a voi con onore e fedeltà, ormai diventati col tempo silenziosi e malinconici. Io non ho mai portato il sacrificio eucaristico all'altare senza pensare a voi; spero che anche voi non mi dimentichiate quando la volontà di Dio mi chiamerà nella Grande Armata e quando quella stessa croce, che tanti di voi morendo hanno baciato, riposerà nelle mie mani diventate fredde”.

Alla sua morte, avvenuta il 7 febbraio del 1962, il necrologio di Padre Bruno reciterà:

Viene affidato alle preghiere dei fedeli

il Reverendo

Padre Bruno Spitzl dell'Ordine di San Benedetto 

Decano di Reggimento di Fanteria,

Sacerdote di pellegrinaggio a Maria Plain,

festeggiato l'anniversario degli ordini sacri e del sacerdozio,

dopo aver ricevuto il SS. Sacramento,

 il Signore lo ha chiamato nella Patria eterna

il 7 febbraio 1962, a 75 anni.

Riposi in pace.

“Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno; e non solo a me, ma anche a tutti coloro che attendono con amore la sua manifestazione”.

(Seconda Lettera a Timoteo, 4, 7-8)

La Grande Guerra fa sorgere la figura di un altro sacerdote di valore dai momenti più drammatici della battaglia per la conquista dell’Ortigara, quando dal 10 giugno 1917 gli Alpini, i Fanti e i Bersaglieri assaltano ripetutamente una vetta ritenuta inespugnabile. Ricorda Paolo Monelli: « I soldati s'allineano lungo la strada, contro la roccia. Non guardo che facce abbiano: ma sento al di là la tranquilla rassegnazione all'inevitabile. Da quindici giorni si assiste allo stesso spettacolo: escono battaglioni, rientrano barelle e morti, e dopo qualche giorno o qualche ora, i pochi superstiti... ». Ed è fra loro anche il giovane ufficiale Padre Giulio Bevilacqua, sottotenente del Battaglione Alpini Stelvio. Prima della guerra gli era stata negata la nomina a Cappellano ma aveva ottenuto di partire comunque per il fronte armato solo della fascia di riconoscimento della Croce Rossa; qui sull’Ortigara è dapprima ufficiale di collegamento e poi incaricato della difesa antigas. Il 19 giugno del 1917, quando viene finalmente espugnata dopo cinque tentativi la principale postazione di mitragliatrici austriache e l'ennesimo assalto porta in quarantacinque minuti gli Alpini sulla vetta dell’Ortigara, c’è anche lui. E si distingue ancora una volta dando l’esempio nel recupero degli innumerevoli feriti che soccorre a costo della vita sotto il fuoco delle mitragliatrici e di dodici ore di bombardamento. Il suo eroismo sarà decorato con due Medaglie d’Argento al Valore ma la vittoria in quei giorni non arriderà agli Alpini, l’Ortigara sarà perduto dopo una settimana e successivamente anche Padre Bevilacqua verrà fatto prigioniero. Verrà condotto in Boemia, prima nel campo di Hart e poi nel castello di Horovice: solo dopo undici mesi di prigionia, il 6 novembre 1918, potrà tornare a Brescia.

                Padre Bevilacqua nel 1942

                Padre Bevilacqua nel 1942

A guerra finita, perseguitato dal regime fascista dovrà rifiugiarsi prima a Verona e poi in Vaticano dove stringerà una forte amicizia con il Card. Montini, futuro Papa Paolo VI. Nella seconda guerra mondiale sarà Cappellano sulla nave ospedale “Arno” dove si distinguerà ancora una volta per avere salvato i feriti durante un bombardamento. Dopo la guerra parteciperà alla preparazione del Concilio Vaticano II diventando infine Cardinale di Papa Paolo VI all’età di 84 anni. Accetterà però la nomina solo a patto di mantenere il suo stile pastorale di semplice parroco fra la gente. Dirà durante il solenne pontificale della sua investitura nel Duomo di Brescia: "Chi é mai un cardinale? Un cieco - come tutti - alla ricerca della luce". Morirà il 6 maggio 1965 e verrà sepolto nella cripta della sua amata Chiesa della Pace sotto il suo stemma con il motto: "Virtus in infirmitate". Quella grande chiesa all’ombra della quale, inconsapevole di tutto ciò, passai i migliori anni della mia gioventù.

Stefano Aluisini

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