LA MORTE

La più implacabile compagna del soldato della Grande Guerra. Una presenza costante che sfibra i nervi degli uomini prostrandone le coscienze, unendo così nel dolore i compagni ai Caduti in un sentimento indissolubile. I sopravvissuti curano nel migliore dei modi i cimiteri e le tombe di amici e nemici con una pietà che sembra talvolta riuscire a prevalere negli animi sul pur immenso potere distruttivo della guerra.

Un groviglio di cadaveri sul Col del Rosso - Altopiano dei Sette Comuni, giugno 1918.

Nella galleria a scorrimento seguente diversi cimiteri militari, tutti tristemente simili sotto ogni loro bandiera. Da sinistra il cimitero militare italiano a Vertojba, quello austro-ungarico del 14° “Hessen” in Val Frenzela (Altopiano dei Sette Comuni), quello di Feltre (dove si vedono alcune tombe di piloti abbattuti contraddistinte dalla pala dell’elica), quello austro-ungarico del 22° Feldjager presso il M. Civaron e infine quello italiano di Jamiano.

Ogni vita spezzata portava con sè la tragedia di una famiglia e di un’intera comunità. Spesso i congiunti venivano informati con un telegramma, più di rado con una lettera del cappellano o di un ufficiale. C’è da chiedersi in quest’ultimo caso quale fosse lo stato d’animo di coloro che dovevano adempiere al doloroso ufficio di comunicare alle famiglie la scomparsa dei loro cari. Sicuramente in qualche caso si sceglieva di attenuare lo strazio della notizia con pietose bugie, assicurando ai familiari che il loro congiunto era morto senza soffrire, assistito dal conforto dei compagni. E probabilmente i testi di queste lettere finivano poi con il somigliarsi tutti. Eppure in alcuni di questi documenti traspaiono così inequivocabilmente dei tali tratti di umanità e sincerità da farci ritenere che la pietà umana, nonostante gli orrori della guerra, pur trovava ancora spazio nel cuore degli uomini più sensibili. Perchè è questo che si può leggere nei due fogli della lettera che un ufficiale della 63^ Compagnia del Battaglione Bassano, l’allora Capitano Federico Calleri di Sala, alla famiglia di un Alpino caduto il giorno prima, il Caporale Maggiore Bortolo Poletto. Alla data della lettera il reparto era dislocato sul M. Cukla in Slovenia ed effettivamente tra i caduti del Battaglione Bassano in quella zona vi è redatto il nome del Caporal Maggiore Bortolo Poletto. La lettera originale appartiene al presidente della Pro Loco di Campolongo sul Brenta, Ruggero Rossi, poichè l’Alpino Poletto era il fratello di suo nonno. Lo stesso Capitano Calleri di Sala, che apparteneva a una famiglia di generali dell’Esercito, conobbe un tragico destino: morirà infatti successivamente abbattuto a bordo di un aereo. Vi lasciamo quindi alla lettura di questa lettera così toccante ed emblematica, per quanto scritta con grande tatto e affetto, dell’enorme tragedia che fu la Grande Guerra.

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