ALBERTO CABBOI

Alberto Cabboi è nato a Cagliari nel 1983. Risiede ad Armungia, dove è cresciuto. Nel 2011 ha conseguito la Laurea specialistica in Scienze Politiche, con tesi di ricerca in Storia della Sardegna contemporanea. Dal 2006 lavora presso il Sistema Museale di Armungia. Dal 2009 si occupa del Museo storico “Emilio e Joyce Lussu”, con la realizzazione di visite guidate, percorsi di approfondimento, attività divulgative, laboratori didattici rivolti alle scuole, nuovi progetti legati alle esposizioni e ai contenuti del museo. Segue inoltre le collaborazioni del Sistema Museale con altri istituti culturali. In particolare, nel 2011 ha collaborato alla mostra “Un anno sull’Altipiano”, realizzata dal Centro Documentazione di Luserna (TN). E’ coordinatore del progetto che ha portato, nel 2014, alla creazione del nuovo Archivio storico multimediale del Museo Lussu, arricchito nel 2015 da una sezione di 100 immagini dedicate alla Brigata “Sassari” ed ai luoghi che la videro protagonista nel primo conflitto mondiale. E’ curatore della Mostra “Storia di un popolo in divisa: la Brigata Sassari nella Grande Guerra”, allestita negli spazi espositivi del Museo Lussu, inaugurata il 9 agosto 2015 e visitabile fino al 31 agosto 2016. La mostra è stata realizzata dal Comune di Armungia con il contributo della Fondazione Banco di Sardegna e la collaborazione dell’Archivio Storico Dal Molin.

Il Capitano Lussu e la Brigata “Sassari” alla Battaglia di Monte Zebio.

Foto cartolina d’epoca della frazione di Vallonara nei primi anni del Novecento

Nel pomeriggio del 23 maggio 1917, pervenuto dal Comando di Divisione l’ordine di partenza, i reparti della Brigata “Sassari” lasciavano la pianura vicentina per far ritorno sull’Altopiano dei Sette Comuni. I venti giorni di riposo nei dintorni di Marostica, tra i villaggi di Vallonara e San Michele, erano trascorsi con gioia, allietati da lunghi bagni sulle rive del Brenta, scorribande nei casolari di campagna, feste ed incontri nelle ore di libera uscita. Il contatto con la popolazione civile, la luce e il tepore di quelle giornate primaverili, avevano fatto dimenticare per qualche istante i patimenti della vita in trincea, l’incubo dei continui assalti, la paura della morte. Gli abitanti, fuori dalle case, salutavano i soldati in partenza, carichi di speranza. Il ritorno alla guerra si annunciava ormai prossimo.

Gruppo di ufficiali del 3°/151° in Val Piana, nel maggio del 1917 - Coll. Caneva

Sull’Altopiano, l’imponente dispiegamento di mezzi, reparti e batterie dei calibri più vari non poteva più celare la grande offensiva che, finalmente, avrebbe potuto scalzare il nemico dalle sue posizioni sullo Zebio, sul Forno e sull’Ortigara. Sarebbe stata così allontanata la minaccia austriaca dalla pianura veneta, consentendo forse la riconquista dell’agognata linea tra il Verena e il Portule. Era la riedizione dell’Azione K, naufragata in autunno a causa delle abbondanti nevicate, indicata nei documenti ufficiali come “Difensiva ipotesi 1”. Le truppe sarde sarebbero state chiamate a svolgervi un ruolo importante, come spesso era accaduto da quando, la mattina del 25 luglio 1915, avevano avuto il loro battesimo di fuoco sulle pendici dell’altopiano carsico. Risalita sull’Altopiano, la Brigata sostò per alcuni giorni nei baraccamenti di Val Piana, sotto l’abitato di Foza. Alla vigilia del ritorno in trincea, le melodie delle gare poetiche fra i cantori improvvisati e il suono delle launeddas riecheggiarono nel fondo della vallata, rinsaldando i reparti nel richiamo all’Isola lontana.

Pezzo di artiglieria italiana nella zona di Monte Zebio. - Coll. Dal Broi

Il 7 giugno, a tre giorni dall’inizio dell’offensiva, i soldati erano nuovamente in linea. Il morale era alto, diffusa la convinzione che l’azione sarebbe finalmente riuscita. Ricorda il sottotenente del 3°/151° Nicolò La Rosa, giunto in quei mesi dalla Scuola Militare di Caserta, non ancora ventenne, tra i fanti della “Sassari”: “Tutti sapevano che si andava ad attaccare una terribile battaglia, forse una delle più atroci e sanguinose della nostra guerra; ma nessuno aveva dei tristi presentimenti sullo svolgimento di quella partita che si stava per impegnare a fondo col nemico. Dal più umile soldato al Comando della Brigata, si aveva la ferma fiducia nella riuscita del piano d’attacco.”  Il giovane ufficiale, al primo impiego in battaglia, non poteva peraltro non cogliere la profonda tensione precedente il momento dell’assalto:  “Gli animi erano elettrizzati; l’importanza di quella vigilia d’armi e di sangue si leggeva sui volti. Non che questi lasciassero trasparire segni di debolezza; ma si poteva intuire benissimo guardandoli, ciò che passava nella mente di ognuno: si andava a combattere, si sarebbe tornati più indietro? Chi più, chi meno, doveva fare immancabilmente e per proprio conto un calcolo di probabilità, non escludendo se stesso. Gli sguardi che s’incrociavano, il tono della voce di certi saluti scambiati, qualche abbraccio un po’ più lungo di un altro intrecciato in altri momenti, lo dicevano chiaro.” Al comando del Generale Ettore Mambretti, Cadorna schierava per l’offensiva l’intera VI Armata, costituita sulla preesistente struttura del Comando truppe Altopiano. Sul fronte assegnato al XXII Corpo d’Armata, la “Sassari”, inquadrata con la “Piacenza” nella 25ª Divisione, avrebbe attaccato le posizioni austroungariche sulle pendici di Monte Zebio, nel tratto compreso tra quota 1.626 e quota 1.476. La vigilia dell’azione fu resa funesta dall’esplosione della mina italiana predisposta da mesi sulla “lunetta” dello Zebio. L’ordigno deflagrò accidentalmente nel pomeriggio dell’8 giugno, travolgendo decine di ufficiali e fanti della Brigata “Catania”. All’alba del 10 le truppe erano pronte ai loro posti, in attesa di partire all’attacco delle vicinissime trincee nemiche. Solo il maltempo, arrivato nelle giornate dell’8 e del 9 a guastare una primavera che già annunciava l’estate, sembrava incutere qualche timore: “C’era un po’ di caligine nell’aria - scrive La Rosa - il cielo era in parte coperto e ciò non ci rallegrava molto: brutta giornata! Cattiva luce per un bombardamento!”  Erano da poco passate le cinque quando l’artiglieria da montagna del 25° gruppo aprì il fuoco, segnando l’inizio di una giornata che avrebbe ben presto portato morte e distruzione. In breve tempo, dalla Val di Nos al Monte Longara, dal Cimon Fiara alla Valsugana, il fuoco delle artiglierie italiane si scatenò in tutta la sua spaventosa violenza. 

Il bombardamento dell’artiglieria italiana sullo Zebio, il 10 giugno 1917 - Coll. Rodighiero

Dalle pagine di Un anno sull’Altipiano, di Emilio Lussu:

Sull’Altipiano, comprese le bombarde pesanti da trincea, non v’erano meno di mille bocche da fuoco. Un tambureggiamento immenso, fra boati che sembravano uscire dal ventre della terra, sconvolgeva il suolo. La terra tremava sotto i nostri piedi. Quello non era tiro d’artiglieria. Era l’inferno che si era scatenato. Ci eravamo sempre lamentati della mancanza d’artiglieria: ora l’avevamo, l’artiglieria. I reparti erano stati ritirati dalle trincee e solo poche vedette le presidiavano. Il 1° e il 2° battaglione del reggimento erano ricoverati nelle grandi caverne scavate durante l’inverno. Il 3° battaglione era con tutte e quattro le compagnie completamente allo scoperto, sulla linea dei due ridottini retrostanti. L’artiglieria nemica controbatté, con i grossi calibri, ma non tirò sulla prima linea. Sulla nostra prima linea tirò solo la nostra artiglieria. Quello che avvenne non fu sufficientemente chiarito. I battaglioni che erano nella caverne non ne soffrirono, ma il mio ebbe, fin dall’inizio, gravi perdite. La linea dei due ridottini, nei quali il mio battaglione aveva l’ordine di rimanere, fu rasa al suolo. Essi erano stati costruiti contro i tiri di fronte, non contro quelli alle spalle. La 9ª e la 10ª compagnia furono dimezzate.”

Per diverse ore i fanti della “Sassari” furono sottoposti a un intenso bombardamento, investiti in pieno dal tiro corto e irregolare delle artiglierie italiane. Gli errori delle batterie di medio e grosso calibro resistettero a tutti i tentativi di segnalazione dei comandi di Reggimento. Neppure dopo la sosta, voluta intorno alle undici per verificare l’apertura di varchi nella linea difensiva nemica, gli errori di tiro cominciarono a diminuire. Il 3° battaglione del 151°, tenuto di rincalzo e rimasto completamente allo scoperto, subì le perdite più pesanti. Alle ore 15, cessato il bombardamento, gli uomini della 2ª compagnia del 151° e del 1° reparto zappatori furono i primi a partire all’assalto, riuscendo ad irrompere nella trincea nemica, occupata per alcuni tratti con feroci corpo a corpo. Sotto il fuoco delle mitragliatrici e dei pezzi di piccolo calibro austriaci, le compagnie del 1° e 2° battaglione si lanciarono all’attacco per ondate successive. I superstiti del 3° mossero successivamente, sostenendo l’azione dei reparti che già dovevano fronteggiare i primi contrattacchi austriaci per la riconquista delle posizioni perdute. Dopo il ferimento del suo comandante, il Maggiore Enrico Fresini, il comando del battaglione passò quel giorno al Capitano Emilio Lussu. Promosso tenente per merito di guerra sul Carso, dopo la conquista delle inespugnabili trincee delle “Frasche” e dei “Razzi”, comandante della 10ª compagnia del “battaglionissimo”, Lussu era stato per mesi aiutante maggiore del Tenente colonnello Francesco Cuoco e poi del Maggiore Fresini.

Linee conquistate dalla Sassari nella zona di San Martino del Carso, in una foto del 1916.

Nominato capitano nel novembre del 1916, era uno degli ufficiali più noti e rispettati dell’intera Brigata, “l’idolo del reggimento, il cui valore in guerra è al di sopra di ogni elogio”, ricordava il capitano Giuseppe Tommasi. Assumeva ora il comando del battaglione nel momento più difficile, reso drammatico dalla tragedia che si stava abbattendo sui due reggimenti della “Sassari”. Lo stesso Tommasi scriveva peraltro che Lussu non avrebbe dovuto essere in linea durante l’azione del 10 giugno, “trovandosi fuori del reggimento in accompagnamento di una missione estera”. Ma, mosso dalla tenace volontà di non esserne escluso, “volle e trovò modo di essere presente al combattimento”. Le memorie di La Rosa, al comando d’un plotone della 9ª compagnia del 3°/151°, testimone e protagonista di quanto accadde, risultano decisive per conoscerne il comportamento in quel frangente: “Degli ufficiali del 3° battaglione mancava qualcuno che era stato ferito. Chi avrebbe preso il Comando, dato che il Maggiore Fresini era stato messo fuori combattimento? Il Capitano Lussu, unico del battaglione, mancava. Dov’era? Nessuno lo sapeva e si temeva per la sua sorte dato il suo coraggio e il suo disprezzo del pericolo. Giunse una risposta dal Comando di Reggimento, a cui si era mandata per iscritto e brevemente la situazione. La risposta diceva che prendesse il Comando il Tenente più anziano in grado. In questo caso il più anziano era Crobu e già questi ci riordinava raccomandandoci di racimolare i soldati sparsi qua e là, allorché giunse il capitano Lussu. Gli si espose rapidamente tutto. – Il Battaglione? – chiese imperturbato. – Eccolo! – rispondemmo additando un gruppo di uomini. Il Capitano rimase sconcertato; ma fu un attimo. Subito riprese la sua calma abituale. – Beh! – disse – anche noi soli Ufficiali andremo all’assalto! Si riordinino le compagnie. Avanti la Nona, la Decima, l’Undicesima. – La Dodicesima non c’era perché era andata con la Brigata Piacenza. – Gli uomini della Nona – riprese a dire – alzino la mano.  Quindici braccia si sollevarono. Quella era la 9ª compagnia! Lo stesso avvenne per la 10ª e la 11ª. Tutto il battaglione circa sessanta uomini! Faceva proprio pena; ma, riordinatici, partimmo lo stesso per raggiungere il 1° ed il 2° battaglione che su per giù dovevano avere la nostra stessa forza.”

Vista delle linee austriache dove irruppero i fanti della Sassari, in una foto degli anni ‘80 – Foto R. Dal Molin

Il tiro di repressione austriaco, aperto sui varchi di uscita delle trincee italiane, impedì ai reparti retrostanti di sostenere le prime ondate di assalto. Dentro la trincea nemica, i contrattacchi austriaci furono respinti dai soldati della “Sassari” per due volte. Ma di fronte al terzo attacco, stremati ed isolati dal resto della linea, i fanti sardi furono costretti a rientrare nelle trincee di partenza.

Le linee della Sassari sconvolte dall'artiglieria italiana il 10 giugno 1917 – Coll. Caneva

Le perdite, annotate dai diari dei due reggimenti, furono rilevanti: il 151° ebbe 46 morti, 415 feriti e 109 dispersi; il 152° registrò 29 morti, 328 feriti e 25 dispersi. L’offensiva si concluse con un fallimento lungo tutto il fronte. Il diario di Tommasi restituisce in pieno il dramma che si consumò in quella giornata sulle pendici dello Zebio, con effetti morali devastanti sulle truppe: “11 giugno: il bosco non esiste più, e neanche la trincea. Dire rovina è poco, quello di ieri è stato un annientamento. Oggi ci guardiamo come una famiglia raccolta su cui sia piombata la sventura. Ma non piango i morti: sono già tutti degli eroi. Sono questi soldati ancora viventi, oggi, che mi fanno più male: hanno negli occhi un rancore sordo che non si manifesta in alcun modo, che li rende impassibili e inerti. Se si muovono, sembrano degli automi. Comandati, obbediscono, ma non hanno più luce sul viso né impeto negli atti. Se parlano in gruppo, fra loro, bisbigliano una sola parola: “l’artiglieria!” E c’è della ferocia nel loro tono di voce, oggi.”  L’azione della VI Armata fu ripetuta il 19, ancora una volta senza successo. Considerate le perdite subite, la “Sassari” tu tenuta come riserva di Corpo d’Armata. Sullo Zebio, l’attacco fu condotto dalla Brigata “Piacenza” (111° e 112° Fanteria) e dal 5° Reggimento Bersaglieri, inchiodati davanti ai reticolati dalle raffiche di mitragliatrice e dal fuoco d’interdizione dei medi calibri austriaci. Due battaglioni del 151° – tra cui il 3° al comando del Capitano Lussu – furono chiamati a sostenerne l’azione. Tuttavia, nessuno dei reparti sardi prese parte al combattimento.

Il Cap. Emilio Lussu e il Ten. Alfredo Graziani con Teresa Guerrato Nardini – Coll. Caneva

Le pagine di Fanterie sarde all’ombra del tricolore del Tenente Alfredo Graziani, al comando della 12ª compagnia del 3°/151°, consentono di far luce su quanto accadde: “Affollati ai varchi abbiamo atteso, col cuore in tumulto, l’ordine di attaccare. Ci guardavamo in viso, silenziosi, chiedendoci: “Si farà o non si farà questo assalto? Avranno davvero il coraggio di mandarci avanti?”Dall’esterno della trincea, fra una linea e l’altra, ci giungevano urla disperate, implorazioni strazianti, ammonimenti fraterni. “Non sortire! Non sortire! I reticolati sono intatti; non c’è passo! State fermi; non vi muovete!”(…) Mi sono allontanato, accostandomi alla baracchetta del telefono; vi si trovavano il comandante del 112° ed il comandante del nostro battaglione. Nel vedermi mi ha piantato addosso due occhi torvi, quasi cattivi, digrignando i denti, ed ha continuato a restare curvo sull’apparecchio. Diceva una voce che veniva da lontano: “…3° battaglione del 151°?” “Si, il 3° del 151°”, rispondeva il nostro comandante, ed aggiungeva: “ Non è possibile! Il reticolato nemico è intatto, ripeto; sarebbe un macello inutile”. La voce ignota insisteva: “Bisogna che il 151° vada all’attacco. Ha capito? Bisogna che vada!”. Nella semioscurità della tenacia vedevo i volti dei due valorosi ufficiali contrarsi in una smorfia di rabbia e in un impeto di rivolta.

Baracca Comando del 3° Battaglione dove si svolsero i fatti narrati da Alfredo Graziani – foto R. Dal Molin

Alla cocciutaggine incosciente che arrivava sopra il filo faceva eco la fermezza di due ufficiali che avevano visto e conoscevano di persona la situazione tragica. Erano di quei valorosi che non hanno mai pensato a sottrarre né sé stessi né gli alti ad un pericolo, ma che, in quelle circostanze, volevano difendere la vita dei loro soldati contro un attentato feroce e delittuoso.“Non si può; ripeto che non si può” diceva il nostro. Si deve”, continuava la voce. Il generale comandante la Divisione insisteva; si ostinava nell’ordine assurdo e disumano.“Lei, le dico, ordini al 3° battaglione di andare avanti!” “Io non posso ordinarlo. Venga lei”… la parola, di nuovo, toccava al nostro comandante. L’ho sentito ripetere, giunto al parossismo del furore e della disperazione: “Io sono un soldato ed ordino degli assalti, non mai degli assassinii” - E la voce lontana: “Io vi faccio sparare addosso dall’artiglieria”; E subito dopo: “Vi concedo cinque minuti”. Ed ancora il nostro comandante: “Meglio morire che assassinare i propri soldati”. La comunicazione era stata tolta ed al quinto minuto una raffica di granate ha sfiorato le cime degli abeti; poi una seconda, più bassa. Era la “campagna” che sparava. Avrà saputo su chi sparava? (….) Un’altra raffica, rabbiosa, ululante, alla stessa altezza della precedente, ci ha dato un brivido; poi, finalmente, l’ordine del buon senso; la liberazione dall’incubo atroce. Ci veniva comunicato: “L’azione resta sospesa fino a nuovo ordine”. Era intervenuto il Comando di Corpo d’Armata.”

Scrivendo nel 1934, in pieno ventennio fascista, Graziani non poteva citare per nome l’antifascista Lussu, esule politico e strenuo oppositore del regime. Nondimeno, la sua figura si staglia come esempio di valore nel momento forse più toccante e drammatico dell’intera narrazione di Fanterie Sarde. Vedendo quanto si sta consumando davanti ai reticolati austriaci ai danni del 112° della “Piacenza”, il “comandante” del 3°/151° riesce tenacemente a difendere la vita di quei soldati che tante volte ha guidato all’attacco. L’episodio del 19 giugno sembra trovare implicita conferma nelle pagine del volumetto che Camillo Bellieni dedicò a Lussu nel 1924, alla vigilia delle elezioni politiche di quell’anno. Pur sfumando il contesto ed anticipando l’accaduto all’estate del 1916, l’autore tratteggiava la stessa immagine dell’ufficiale capace di opporsi all’ordine insensato di assalto, dopo aver dato ripetutamente prova di estremo coraggio e rigore nel comando: “Chiamato dal Comandante la Divisione, fermo sull’attenti, ascoltò in silenzio le disposizioni impartite, sempre le stesse da quasi venti giorni. – Ha inteso tenente? Mi dia assicurazioni per una immediata esecuzione. – Signor no. Il Generale lo guardò cogli occhi sbarrati. Il tenente Lussu, fermo sull’attenti, fissava il superiore parimenti in viso, senza alcuna arroganza, collo sguardo dell’uomo deciso. – Come Signor no! Non intende eseguire l’ordine? – Signor no. – Io la faccio fucilare immediatamente. – Signor sì. Il Comandante incrociò le braccia. Stette un po’ sopra pensiero. Poi ad un tratto: – Vada pure. Per quel giorno l’azione fu sospesa. – E’ il più bell’ufficiale dell’esercito – borbottò poi il Generale quasi fra sé – se tutti gli ufficiali avessero, quel fegato, la guerra sarebbe vinta da un pezzo.” Fra le varie forme di coraggio – concludeva Bellieni – la più alta è quella di saper resistere ai propri superiori, se così impone la propria coscienza, specialmente quando si è dato sempre prova d’un’obbedienza pronta, rispettosa e assoluta. Vi sono momenti solenni in cui l’eroe dell’obbedienza deve saper diventare l’eroe del rifiuto.”

Il volumetto di Camillo Bellieni dedicato alla figura di Emilio Lussu – Museo “Emilio Joyce Lussu” di Armungia (CA)

Fu il riconoscimento di questo eroismo umano, oltre che militare, ad alimentare in trincea e poi in Sardegna la fama e il mito del capitano Lussu, celebrati nel dopoguerra dai racconti dei reduci ancor prima del suo rientro nell’Isola. Il 10 luglio la “Sassari” fu sostituita in linea dalla Brigata “Campobasso”, portandosi in zona di riposo con il 151° in Val di Ronchi e il 152° in Val Piana. Il 20, alla presenza del generale Ferrari, comandante del Corpo d’Armata, furono distribuite ai soldati e agli ufficiali le ricompense al valor militare. Sul finire di agosto le truppe sarde tornarono nuovamente in prima linea, prendendo parte all’Undicesima Battaglia dell’Isonzo sull’Altopiano della Bainsizza. 

 

FONTI BIBLIOGRAFICHE

C. Bellieni, Emilio Lussu, Il Nuraghe, Cagliari, 1924.

G. Fois, Storia della Brigata Sassari, Gallizzi, Sassari, 1981.

A. Graziani, Fanterie sarde all’ombra del tricolore, Gallizzi, Sassari, 1934.

E. Lussu, Un anno sull’Altipiano, Einaudi, Torino, 1945.

P. Pozzato, Un anno sull’altipiano con i Diavoli Rossi, Gaspari, Udine, 2006.

A. Ricciardi, Monte Zebio 1917. Appunti di guerra di Nicolò la Rosa, in Annali dell’Istituto “Ugo La Malfa”, Vol. XVI, Roma, 2001.

G. Tommasi, Brigata Sassari Note di guerra, Tipografia sociale, Roma, 1925.

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