"VEGLIA DI UNGARETTI":

identificato il compagno morto ?

di Mario Colombo

Borsano, che oggi è frazione di Busto Arsizio, durante la Grande Guerra era un piccolo comune con meno di duemila abitanti. Nel corso della guerra furono chiamati alle armi 286 suoi cittadini delle leve dal 1876 al 1900 e 34 di loro persero la vita (1). Il primo di questi fu Pietro Colombo, venticinquenne morto il 2 dicembre 1915 per malattia nell’ospedale da campo 230 a Langòris (ora detta Angòris) nei pressi di Cormòns (2), mentre il primo caduto “per ferite riportate in combattimento” fu Simeone Silci, la cui storia è molto speciale. Il cognome insolito e con la stessa iniziale del nome è chiaro indice della sua origine: trovatello del Brefotrofio di Milano o, come si usava dire, figlio dell’Ospedale o figlio di Santa Caterina, poiché il brefotrofio dipendeva dall’Ospedale Maggiore e si trovava nell’ex convento di Santa Caterina alla Ruota (3). Nato il 13 aprile 1882, dopo il battesimo e l’abbandono gli era stato imposto quel cognome di fantasia ed era stato subito dato in affidamento (4) alla famiglia di Giovanni Puricelli, di professione tessitore, nato il 19 luglio 1835 a Sacconago ma di famiglia originaria di Buscate e residente a Borsano. Qui, il 19 gennaio 1860, egli aveva sposato Purissima Rogora, figlia di Antonio e di Macedonia [sic!] Dorta, contadina e tessitrice come quasi tutte le donne della zona, la quale gli aveva dato sei figlie e un figlio: tre femmine morirono nelle prime 24 ore di vita, l’unico maschio morì di tisi all’età di sette mesi e un anno dopo, il 7 ottobre 1873, di tisi morì anche Purissima, a 34 anni. Avendo tre figlie piccole (5), Giovanni cercò subito una seconda moglie: secondo l’usanza, un vedovo si risposava preferibilmente fuori paese e, infatti, domenica 8 febbraio 1874 sposò una giovane donna di Olgiate Olona, Felicita Cadoni (6). Da questa, Giovanni ebbe: Rosa nel 1874 (7), Luigi nel 1875 (8), Natale nel 1876 (9), Purissima Martina nel 1881, morta di bronchite l’11 aprile 1882, e Purissima Giuseppina nel 1884 (10). Fu la morte prematura della prima Purissima che spinse Giovanni a prendersi carico di un trovatello: Felicita avrebbe potuto allattarlo, evitando il rischio di mastiti, e la cura del piccolo l’avrebbe aiutata a fugare tristi pensieri; inoltre, il Brefotrofio avrebbe pagato il “baliatico”, un compenso non elevato ma sicuro (11). Così il piccolo Simeone, nato due giorni dopo la morte della piccola Purissima Martina, fu allevato da Giovanni assieme ai figli avuti dalle due mogli. Simeone rimase con i Puricelli anche dopo i 15 anni, quando cessò il sussidio dell’Ospedale, e anche dopo il matrimonio con Adele Caprioli, il 13 gennaio 1906 (12). I suoi figli Emilio, Pietro detto Pierino e Giuseppina (13) crescevano con quelli dei Puricelli, poiché anche Luigi e Giuseppe si erano sposati ed erano rimasti ad abitare nella stessa casa. Alla famiglia si aggiunse poi la madre di Adele, Maria Luoni, rimasta vedova il 14 dicembre 1912. Allo scoppio della guerra Simeone fu arruolato nel 19° Reggimento Fanteria che, col 20°, formava la Brigata Brescia. Fino al 7 luglio 1915 essa restò di riserva nella zona di Lucinico, di fronte a Gorizia (che era ancora in mano austriaca) e in vista del Monte San Michele, che presto divenne per tutti un incubo. In effetti, esso è solo una modesta collina alta 275 m e lunga pochi chilometri, ma era un osservatorio eccezionale, e gli austroungarici l’avevano trasformato in una fortezza. Le quattro elevazioni principali erano denominate in tempo di guerra Cima Uno, Cima Due ecc. Il suo dedalo di trincee, camminamenti, gallerie e cannoniere formava, con il complesso Oslavia-Calvario-Sabotino, un caposaldo del campo trincerato di Gorizia che sbarrava saldamente la direttrice d’attacco di Cadorna, verso Tolmino e Lubiana. 

Qui fu trasferita la Brigata Brescia: il 18 luglio iniziò la Seconda Battaglia dell’Isonzo ed essa avrebbe dovuto occupare le quattro cime del San Michele e conquistare il paese di San Martino del Carso. Le prime linee austriache, Bosco Lancia, Bosco Triangolare e Bosco Cappuccio, furono conquistate e mantenute a caro prezzo. Furono anche catturati un migliaio di nemici, ma non si poté progredire sulla dorsale, che era diventata uno sfasciume ingombro di schegge e reticolati, pietre e cadaveri. Per l’accanimento dimostrato, la brigata ottenne la medaglia d’argento al valore militare. L’11 agosto la brigata si spostò ad Aiello, vicino a Palmanova, per ricostituire i suoi organici decimati, e il 6 novembre tornò sullo stesso settore, trovando la situazione quasi invariata, nonostante i massacri della Terza Battaglia dell’Isonzo. E il 10 novembre iniziò la Quarta: la brigata attaccò ancora inutilmente le Cime 3 e 4 del San Michele e rientrò nelle posizioni il 21 avendo subito circa duemila perdite (520 morti, 1378 feriti e 129 dispersi).

Trinceramenti italiani nel settore del Monte San Michele

I combattimenti continuarono altrove e nel settore del San Michele ci fu solo qualche azione sporadica di pattugliamento e osservazione. Fu proprio in questa situazione di relativa calma che Simeone Silci morì il 22 dicembre 1915. La dizione ufficiale “morto per ferite riportate in combattimento” significa che egli fu ferito dal fuoco nemico durante un combattimento, ma la morte sopraggiunse quando esso era cessato o in altro luogo, dove egli era stato trasportato: cosa diversa da “morto sul campo”. La morte dev’essere avvenuta prima che fosse possibile il ricovero, altrimenti nei documenti sarebbe indicato il numero dell’ambulanza o dell’ospedale; invece si trova scritto più genericamente: “sul Monte San Michele”, in ossequio all’abitudine di non menzionare con precisione il luogo. Dello stesso 19° Reggimento di Fanteria faceva parte anche il volontario Giuseppe Ungaretti, classe 1888 (14), che, giunto in prima linea il 2 dicembre 1915, più di una volta aveva attirato le schioppettate austriache, con la sua mania di accendere fiammiferi di notte per annotare misteriose parole su foglietti di carta: «cartoline in franchigia, margini di vecchi giornali, spazi bianchi di care lettere ricevute… sui quali da due anni andavo facendo giorno per giorno il mio esame di coscienza, ficcandoli poi alla rinfusa nel tascapane, portandoli a vivere con me nel fango della trincea o facendomene capezzale nei rari riposi», come lo stesso poeta scrisse in Vita di un uomo

Il 23 dicembre, il giorno dopo la morte di Silci, il poeta, dopo aver trascorso “un’intera nottata / buttato vicino / a un compagno / massacrato” in una trincea del Bosco Cappuccio, sotto la Cima Quattro del Monte S. Michele, scrisse la poesia Veglia, in cui partecipa fraternamente allo strazio del compagno ucciso ma, dopo l’atroce veglia di fronte all’orrendo spettacolo di morte, eleva un inno alla vita: “Non sono mai stato / tanto / attaccato alla vita”. Tra l’11 e il 31 dicembre, sul Monte S. Michele il 19° Rgt. Fanteria ebbe solo sette militari di truppa morti (in media uno ogni tre giorni) e dieci feriti, e un solo ufficiale, il sottotenente Antonio Darà di Palermo, morì in zona per ferite proprio il 22 dicembre, lo stesso giorno di Silci.  Non è allora troppo ardito pensare che il compagno di Ungaretti “massacrato / con la sua bocca / digrignata / volta al plenilunio” fosse proprio Simeone Silci. È abbastanza verosimile che il 22 dicembre, appena fatto buio, una pattuglia sia uscita da una trincea di Bosco Cappuccio: presto si alzò la luna piena che illuminò il terreno e gli uomini, individuati dal nemico, diventarono il bersaglio di una sparatoria che ferì mortalmente il sottotenente Darà e il nostro Simeone Silci, inutilmente trascinato nella trincea di Bosco Cappuccio nel tentativo di soccorrerlo. Questo corrisponderebbe alla dizione “morto per ferite riportate in combattimento”. Per i tre figli, il primo Natale di guerra, senza notizie del papà, fu certamente triste. Poi, quando la famiglia fu informata della sua morte, la disperazione si abbatté su tutti. La vedova Adele era malata, inabile al lavoro, e sua madre Maria aveva ormai 70 anni: difficilmente avevano stipulato un’assicurazione sulla vita, che diventò obbligatoria solo dopo la disfatta di Caporetto e la sostituzione di Cadorna con Armando Diaz e il sussidio che avrebbero ricevuto dallo Stato sarebbe stato insufficiente a mantenerli tutti. Ma la soluzione era lì, nella stessa casa. Luigi Puricelli, figlio di Giovanni, essendo nato nel 1875 non era stato chiamato alle armi, contrariamente al fratello: come i suoi genitori si erano presi cura di Simeone, così Luigi ne accudì i figli, la vedova e la suocera. Una fratellanza non di sangue, ma di saldi affetti. Vegliato da un poeta in una limpida e fredda notte di luna piena: così cent’anni fa concluse la sua vita terrena un trovatello che, abbandonato dai genitori, aveva trovato a Borsano accoglienza, affetto, amore.

Per gentile concessione dell'autore Mario Colombo; l'articolo è visibile anche sul sito di Julian Peters

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